(English translation below)
Il mestiere di addetto al confezionamento sonoro dei film è ben consolidato nei nostri giorni. Chiunque volesse sfuggire alla routine che troppo spesso lo pervade dovrebbe affrontare con rigore alcune problematiche e quesiti riguardo al rapporto di musica e immagine. Posto davanti al problema, raccolgo qui alcune riflessioni in merito, che vanno intese come primo approcio all'argomento di un compositore che si occupa sopratutto di musica "astratta".
Il dibattito intorno alle facoltà rappresentative della musica dura da secoli, vivacizzandosi particolarmente nel secolo scorso nel confronto tra i sostenitori della musica pura e quelli della musica lirica. Vi ha dunque fatto ingresso anche la difficile questione del rapporto tra testo letterario e musica. Senza entrare in merito del dibattito mi sembra che da esso si possano estrapolare tre affermazioni che si sono, non senza fatica, guadagnate un consenso pressoché unanime. (Mi si consenta l'estrema semplificazione che qui si rende necessaria) 1) Preso il concetto "espressione" in un senso opportunamente stretto, un'accurata analisi logica ci dimostra che, per quanto "espressiva" possa essere, la musica in sé non esprime alcunché. 2) E altrettanto indiscusso che la musica possa acquisire un valore rappresentativo, possa cioèevocare fenomeni al di fuori di se stessa. La musicologia dedica grandi sforzi a svelare i codici di questa facoltà e a discernere la loro genesi. Ma cio che viene rappresentato non avrà mai una valenza linguistica nel testo musicale, vincolato comè quest'ultimo da leggi costruttive del tutto particolari. 3) Di conseguenza, anche se un testo letterario viene sostenuto da elementi rappresentativi nella musica, tra i due non vi potra mai essere un nesso così forte da fonderli in un unico sistema semantico. L'opera che li unisce costituisce un oggetto estetico basato sul dialogo tra questi due mondi, facendo prevalere ora l'uno ora l'altro. E comunque d'obbligo ricordare che musicando un testo letterario di solito il musicista non si pone di rappresentare la parola in musica. L'osservazione è banale ma importante: Se lo dice gia il testo perché lo deve dire anche la musica? (Tralasciamo qui i madrigalismi in musica che sembrerebbero contraddire quest'ultima)
Essendo la terza affermazione di particolare importanza nel presente contesto, sara utile aggiungervi due esempi dove si giudica ben riuscito l'accostamento parola-musica. 1) Lo è senz'altro nelle opere più riuscite del teatro musicale dell'ottocento, ma grazie al contenuto drammaturgico e non quello strettamente semantico del libretto, poiché nel peso dell'azione possono giocare su terreni comunicanti musica e parola. Nell'insieme è comunque la musica che tiene un ruolo predominante nella percezione, e al libretto viene negato uno spessore poetico che lo renda troppo autonomo. 2) Viene spesso notata la straordinaria unità di parola e musica raggiunta da Claudio Monteverdi, anche quando musicava testi letterari già affermati. L'alchimia dell'equilibrio tra i due mondi nell'opera monteverdiana ha certamente qualcosa di prodigioso. Senza affrontare questioni più particolari a questo proposito mi sembra tuttavia di poter affermare che quell'unione riscontrata è sopratutto di ordine prosodico. Quindi ancora realizzata in base ad un elemento unificatore presente in tutti e due i generi, ma concepibile anche in astratto e al di sopra di loro.
Ora, anche se il rapporto parola-musica ci fornisce indicazioni per l'accostamento di musica e immagine nel cinema, qui il gioco si fa più difficile. La già notata impossibilità di un nesso linguistico conferisce a qualsiasi operazione del genere un ché di arbitrario, a meno che non si ricorra a una specie di madrigalismo cinematografico per il quale l'accostamento diventa non più arbitrario ma tautologico. Inoltre si presentano subito tre nuove difficoltà : 1) Per un vizio dei nostri sensi sembra che la musica abbia poche speranze di raggiungere il peso percettivo dell'immagine su grande schermo. Essa resta confinata ad un secondo piano dove qualsiasi operazione strutturale perde di pertinenza. Alla percezione trapela più il genere musicale che la logica interna. 2) La pellicola contiene già dei suoni, il che limita ulteriormente il campo d'azione della musica. 3) La costruzione interna del film di solito esclude la possibilità di una continuità della musica. Questo, inoltre alla già nominata mancanza di pertinenza percettiva fa sì che essa potrà difficilmente sviluppare un discorso in parallelo alle immagini. Quello che ha da dire la musica lo deve dire immediatamente, o per via di un connotato rappresentativo già stabilito o comunque rinunciando a mezzi termini. O c'è subito o non c'è affatto.
Abbiamo pertanto stabilito che una certa esteriorità sembra una qualità obbligata della musica da film, quasi come nel caso del libretto d'opera. Ciò vorrà allora dire che il compositore deve rinunciare a qualsiasi sperimentalismo nella logica compositiva? Per quanto riguarda la costruzione formale la risposta è probabilmente sì, ma visto il potere dell'immagine di attuire qualsiasi impatto straniante della musica, non vi è nessun bisogno che il compositore abbandoni l'astrazione del suo linguaggio. L'esteriorità richiesta può stimolare il compositore di oggi a setacciare il suo linguaggio, ad arrivare più direttamente a soluzioni di chiarissimo profilo, cosa di cui forse il linguaggio della musica contemporanea ha comunque bisogno.
Venendo alle scelte stilistiche per una colonna sonora non vorrei liquidare semplicisticamente le varie soluzioni che non adottano un linguaggio astratto. Sarebbe opportuno indagare separatamente i quattro modi principali di mettere in relazione la musica e la pellicola per conoscere le implicazioni stilistiche di ciascuno. Ciònondimeno mi sembra che si possano riconoscere tre vantaggi che il linguaggio musicale astratto possiede nel rapportarsi alle immagini: 1) Se si aspira ad erigere la sonorizzazione ad elemento che contribuisca alla costruzione formale, e dal momento che la pellicola contiene già dei suoni della vita comune, può essere opportuno che la colonna sonora si discosti dalla normalità sonora più riconoscibile. Così facendo la musica non sarà più un elemento raccontato ma una parte dello stile del racconto. 2) Se si vuole giocare sul potere rappresentativo della musica è vero che usando musiche note, o comunque generi classificati (tutti generi di musica leggera hanno comunque un connotato socio-culturale definito) si crea una condizione alla percezione delle immagini proiettata in una realtà conosciuta. Una musica astratta entrerebbe invece in un rapporto esclusivo con l'immagine, e prenderebbe a rappresentare solo quella . 3) Con riferimento al rapporto parola-musica dove sembra che le soluzioni di accostamento più riuscite appoggino su un elemento extra-semantico, come quello drammaturgico o prosodico negli esempi nominati, a una musica che volesse tentare un gioco simile con l'immagine giova sicuramente un certo livello di astrazione: Questo la rende più suscettibile di manipolazioni a fine di ottimizzare il contrappunto temporale con le immagini. Il tempo e il taglio di una melodia tradizionale invece sono parametri fissi.
Anche se comporta la rinuncia ad una totale libertà creativa ed il tener conto di una forma estranea di solito già per la maggior parte costruita, realizzare una colonna sonora è una sfida per il compositore di oggi. Non potrà forse sormontare l'autismo semantico della musica per inventare un legame vero con il mondo delle immagini, ma affrontando il problema con lo stesso rigore con cui opera nel campo della musica pura potrà scoprirne nuovi aspetti e forse arrivare a delle soluzioni inattese. A questa sfida viene comunque raramente convocato, i registi più delle volte preferendo soluzioni di più sicuro impatto commerciale o più facile percorso produttivo.
Atli Ingólfsson
nb. this article first appeared in the review Cabyria issued in Pesaro
Here's an English translation
Abstract Music and the Image The job of music-packaging of films is quite diffuse in our days. Whoever wants to escape from the routine that too often pervades this job has to tackle with rigour a few questions regarding the relation of music and the image. Having been asked to express myself on the matter I have gathered a few reflections thereon. They should be taken as the first approach to this argument by a composer who until now has above all been busy with "abstract" music. The debate around the representative power of music has gone on for centuries, becoming particularly sharp during the nineteenth century in the opposition of supporters of pure music versus opera lovers. Part of the debate was also the difficult question concerning the relation of literature and music. Without going into details it seems to me that we can extrapolate three statements that have come to be aggreed on, not without effort. (May I be excused for the extreme simplification necessary in this context): 1) If we take the concept "expression" in a fairly narrow sense, a careful logical analysis shows us that however "expressive" music might be, it can not be said to express anything whatsoever by itself. 2) It is furthermore undisputed that music can acquire a representative value, that it can evoke phenomena outside of itself. Some currents in musicology have dedicated great efforts to reveal the nature of this faculty and trace how it came about. However this may be, that which is represented will never acquire a real structural value within the musical text, since music is alltogether ruled by its own particular constructive rules. 3) As a consequence, even if a literary text is supported by representative elements in music, there can never be such a strong relation as to melt them into a single semantic system. The work that unites them constitutes an esthetic object based on the dialogue between the two worlds. I must however mention that when a composer sets a literary text to music he usually does not try to represent words in music. This is a banal but important observation: If a text already contains a particular idea, why should the music also do so? (Let us leave aside the practice of madrigalisms which seems to contradict this affirmation, but with unequal success). Since the third statement is particularly important in this context, I would like to add two examples of a successful combination of words and music: 1) The combination is surely successful in the best examples of nineteenth-century music theatre. This is thanks to the dramaturgical and not strictly semantic contents of the libretto: In the weight of theactionmusic and words can play on grounds that communicate with each other. On the whole it is still the music that keeps a predominant role in our perception and the libretto does not attain the poetic importance which might make it too autonomous. 2) The example of the extraordinary unity of words and music attained by Claudio Monteverdi is often mentioned, a unity present even when he set important literature to music. The alchemy of the balance between the two worlds in Monteverdian opera is certainly a marvel. Without tackling the more particular questions in this respect I think I can affirm that the unity we are speaking of is above all of a prosodic nature. It is therefore once more realised on the basis of a unifying element, which is present in both of the components, but also conceivable abstractly and above them. Now, even though the relation of words and music gives us some clues on the combination of music and image in cinema, the question becomes a little more difficult here. The aforementioned impossibility of a structural connection gives any act of combining the two a certain arbitrary character, except if we use a sort of madrigalism of the image where the combination will no longer be arbitrary but tautological. There are furthermore three new problems that arise: 1) By way of our perceptive habits it seems like music has little hopes of equaling the image's perceptive weight on a large screen. It remains on a second level where any structural operation looses pertinence. Our perception grasps more the musical genre than the internal logic of the music. 2) The film already contains sounds, which limits even more the field of action of the music. 3) The internal construction of the film usually excludes the possibility of continuity in the music. This and the aforesaid lack of perceptual weight, means that music will have trouble developing a plot in parallel to the images. What it has to say must be said immediately, either using a previously established representative code or in any case refusing half truths. It has to be immediately what it should be or not be there at all. It therefore seems that a certain exteriority is a necessary quality of film music, almost as in the case of the opera libretto. Would this mean that the composer has to renounce to all experiments with the compositional logic? As concerns the formal construction the answer is probably yes. Given the power the image has to attenuate any estranging impact of the music, there is on the other hand no need for the composer to abandon the abstraction of his language. The necessary exteriority can stimulate the composer to filter his language, to get more directly at clearly outlined solutions, which the language of contemporary music might need in any case. As concerns the stylistic choices of a sound track I would not like to simply dismiss all the solutions that do not adopt an abstract idiom. It would be interesting to examine separately the four main ways of using music in films to get to know the stylistic implications of each one. As I see it, these four ways are: 1) The music is part of the tale, is inside the film. 2) The music gives a colour to the frames without referral to the plot. 3) The music refers to the plot, creating expectation, tension or affective colour 4) The music defines a general affective colour and provides a couterpoint to the images. Nevertheless it seems to me that we can enumerate three advantages that abstract musical idiom has if it is to relate to the image: 1) If we mean to elevate the sound level to a role that contributes to the formal construction, and since the film already contains sounds from everyday life, it might be preferable that the sound track moves away from the most recognizable sound world. Doing so the music will no more be what is told but becomes part of the style of the tale. 2) If we want to play with the representative possibility of music it is true that using known music, or in any case classified genres of it (all genres of popular music have a distinct social and cultural connotation) we create a condition for the image to be projected in a known reality. Abstract music would on the contrary enter in an exclusive relation with the music and would represent only that image. ("Abstract" music does not mean music that refuses representation). 3) Referring to the relation between words and music where it seems like the most successful combinations rest on an extra-semantic element, such as the dramaturgical or prosodic one in the above examples, music that wants to attempt a similar play with the image certainly needs a certain level of abstraction: This makes it more apt to be manipulated so as to optimise the temporal counterpoint with the images. The tempo and dimensions of a traditional melody are less flexible parameters. Even though it might mean loosing the total creative liberty and the restriction of taking into account a foreign form - which usually is mostly constructed before the music comes along - the realisation of a sound track is a challenge for today's composer. He may not be able to overcome the semantic autism of music and invent a real relation with the world of the image, but facing the problem with the same rigour as he employs in the field of pure music he might discover new aspects of his music and perhaps find new solutions he did not dream of beforehand. Todays composer is however rarely called for to take on such a challenge, since producers and directors most often prefer solutions that are commercially safer and easier to produce, since it's just the old way.