Il mondo della gestualita musicale si puo considerare come diviso in quattro grandi categorie a seconda del grado di partecipazione umana all'esecuzione, che potremmo anche chiamare grado di mediazione:
1) Musica per "nastro" ("la macchina" esegue)
2) Musica per strumento ed elettronica (uomo e macchina interagiscono)
3) Musica per strumento (uomo con l'estensione dello strumento)
4) Musica senza strumento esterno (canto).
(A dir il vero si possono immaginare altre due categorie ai due estremi di questo elenco, ma non ha importanza qui) Ciascuna di queste categorie comporta le esigenze proprie per quanto riguarda la regia gestuale e il modo di dare senso alla forma. Ciò non esclude che possano anche coesistere all'interno di una stessa composizione, dando luogo a una polifonia di gestualità o una prospettiva di umanità , dove la stessa idea musicale viene ripresa a diversi livelli di mediazione, cambiando senso e connotati a seconda del livello dove si trova.
In origine Flecte Lapis doveva essere interamente collocato all'interno della seconda categoria qui sopra, vale a dire composto unicamente per tastierista ed elettronica. Durante il lavoro però, ben presto mi si è presentata la possibilità di estenderne il mondo gestuale abbinandovi uno strumento solista non elettronico. In seguito ho pensato ad una ulteriore estensione verso le categorie estreme, ma per ora si tratta solo di un progetto. Visto che la parte per tastiera gode di una sua autonomia formale e potrebbe essere eseguita da sola, è a quella che il titolo si riferisce, la numerazione contraddistingue poi la versione con il clarinetto.
Riporto qui la relazione introduttiva a Flecte Lapis, scritta per la documentazione della Fondazione Gentilucci, committente del lavoro. Aggiungerò in seguito alcune considerazioni sulla parte del clarinetto.
La prima fase di lavoro su Flecte Lapis ha comportato la stesura della forma generale e la realizzazione della parte elettronica. Per sviluppare la forma in modo personale e rigoroso mi è parso necessario affrontare tre questioni basilari: quella della coerenza armonica, della necessità ritmico-gestuale e del divenire formale.
1. Occorreva dare una coerenza armonica al materiale, nonostante l'uso di campioni registrati per produrre i suoni. Mi sembrava che potesse facilitare il collegamento tra suoni diversi, e che potesse inoltre contribuire a una prospettiva sonora più interessante rispetto a un mondo di suoni non definiti poiché permette di mettere a confronto rumore e armonia. Quasi tutti i campioni usati sono quindi stati intonati, ciascuno alla propria frequenza centrale, anche se il loro carattere non ne permette sempre la percezione netta. Avrei potuto usare la sintesi additiva - un mezzo assai preciso per definire l'armonia ad ogni momento - ma la ricerca di una forte presenza gestuale lo ha impedito. Per la mia esperienza, comunque non straordinaria, i campioni di suoni "vivi" sono tuttora il materiale più efficace per raggiungere una certa ricchezza sonora e forza gestuale in un brano elettroacustico. Ma quale armonia usare?
1.1 In primo luogo mi era chiaro che il materiale armonico doveva esistere al di fuori del sistema dei suoni temperati. Il pensare per suoni temperati non mi sembrava opportuno in un brano prevalentemente elettroacustico. Allo stesso tempo dovevo dare una ragione d'essere alle armonie usate.
Adottare un approccio di tipo spettrale sarebbe stato problematico in questo contesto in quanto una prerogativa importante per la riuscita di un discorso spettrale è il continuo mutamento timbrico, ma qui c'era da lavorare con un insieme fisso di campioni.
La soluzione adottata potrebbe dirsi "combinatorio-spettrale": ho stabilito dieci frequenze che, glissando su o giù dall'altezza iniziale sciolgono la struttura frequenziale di partenza, per poi ricostruirla al punto di arrivo di questi glissati. Vale a dire, più semplicemente, costruisco uno spettro frequenziale le cui componenti glissano una verso l'altra, scambiandosi le posizioni. Per dare maggiore necessità a questa struttura, e perché il movimento interno delle frequenze acquistasse maggiore rilevanza percettiva, ho deciso che le frequenze dovevano muoversi a due a due insieme - in modo perfettamente parallelo quindi - e che, strada facendo, in un determinato punto l'insieme delle frequenze doveva formare una struttura ben riconoscibile, e in contrasto con quelle dei due estremi del glissato.
Questa struttura mediana doveva essere uno spettro armonico: Ho scelto lo spettro "a pettine" che contiene solo le parziali dispari, caratteristica del timbro del clarinetto. Suoni di clarinetto costituiscono infatti una parte importante dei campioni base elaborati e trasformati nel corso del brano. (Questo spettro sorge soltanto nella terza parte del brano in quanto alla prima apparizione i glissati sono continui e non si soffermano al punto armonico.)
Lo spettro iniziale è quindi in un certo senso artificiale, non deriva da un calcolo spettrale, ma non è arbitrario: le frequenze devono essere queste per poter glissare in coppie verso uno spettro quasi identico, passando per uno stato armonico.
Così, ho ottenuto tre spettri di dieci frequenze, dei quali il terzo è una variante del primo (chiamiamoli spettri A, B e C)) (vedi fig. 2). Questi spettri costituiscono la griglia armonica alla quale tutti i suoni del brano si riferiscono. Il percorso formale rappresenta il passaggio tra questi tre spettri. Tengo a ribadire che, benché usi il termine "spettro" per le strutture frequenziali usate, non era nelle mie intenzioni svilupparle in modo spettrale o timbrico. Esse non sono che degli insiemi di informazioni che hanno conseguenze armonico-formali a diversi livelli, e non sono considerate primariamente sotto il loro aspetto di oggetti sonori a se stanti.
1.2 Mi interessava mettere il materiale armonico-strutturale in rapporto con i suoni stessi. Per quanto riguarda lo spettro B, il suo rapporto con il suono del clarinetto è diretto. Allo stesso modo in cui il clarinetto campionato si trova in un rapporto con lo spettro B, i suoni singoli dell'inizio si rifanno allo spettro A nel modo seguente: Prima di venire abbinate in coppie fisse, le frequenze dello spettro iniziale vengono presentate una ad una, rappresentate da suoni percussivi che contengono ciascuno la struttura complessiva di A nella transposizione sulla rispettiva frequenza centrale. I suoni percussivi contengono quindi:
1) Una frequenza prevalente che li colloca nella griglia armonica iniziale (A) 2) lo spettro completo di A trasposto su questa frequenza, avvicinandone il timbro al timbro armonico generale
3) un impulso iniziale derivato da un campione di clarinetto e percussioni. E sopratutto nella risonanza degli impulsi che la loro frequenza centrale si fa sentire, ma spesso la brevità dei campioni fa prevalere la percezione timbrica su quella armonica.
In alcuni suoni vi è poi la fusione degli spettri A e B: alla fine della seconda sezione i suoni percussivi si sono sincronizzati dando luogo a un grande accordo periodico; in quel momento il suono percussivo viene filtrato con lo spettro B, avvicinando così la sua risonanza allo spettro B che sta per emergere dentro i glissati.
1.3 Era importante raggiungere una varietà armonica soddisfacente nonostante gli spettri fissi. I cinque glissati doppi, seppure rappresentino in un certo senso la funzione armonica del materiale, vengono usati anche loro stessi come materiale, o figure, e costituiscono a livello locale un movimento all'interno delle griglie fisse, capace di colorarle ed anche dissolverle. Come si vede dalla figura 1, ciascuno di essi è composto da un intervallo verticale proprio. Nella programmazione è inoltre implicito che il contorno dinamico dei glissati varia in rapporto al tocco del tastierista. Risulta così più in rilievo ora l'attacco, ora la parte in mezzo, ora la fine di essi, variandone notevolmente l'impatto percettivo.
1.4 Un espediente utile nella ricerca di una coerenza armonica era l'uso di suoni sinusoidali per mettere a fuoco e colorare i campioni. Alcuni dei suoni sono poi costruiti puramente a partire da sinusoidi, sopratutto laddove occorreva far emergere la struttura armonica, prima solo abbozzata dai campioni.
2. Il secondo quesito era quello di dare una necessità ritmico-gestuale a un materiale elettroacustico, materiale che spesso, e per sua natura, tende a rifiutare una collocazione temporale dentro delle griglie astratte ad esso estranee. Spesso ho notato come una parte elettroacustica, nonostante contenga dei ritmi, risulti poco ritmica all'ascolto. Sembra in questi casi che si tratti di immagini di ritmi ma non di ritmi veri. Ho affrontato il problema in tre modi:
2.1. L'uso di campioni di carattere - talvolta violentemente - percussivo, ne esalta la collocazione temporale, e permette di costruire un discorso ritmico. Non si tratterà pertanto di sviluppare delle cellule o temi ritmici riconoscibili, o parti ritmiche indipendenti, come comunemente avviene nella musica strumentale. Qui, in modo più consono al mezzo elettronico (che a mio avviso non possiede una vera facoltà di polifonia), il ritmo è concepito come componente di un "timbro temporale", di un gesto complessivo quindi; viene sviluppato in qualità di gesto e non di ritmo discorsivo.
2.2 Per integrare il gesto dell'esecutore con il "gesto" simulato dai campioni, e anche per costruire un timbro ritmico coerente, uso un metodo già sperimentato in Envoi per piano MIDI e 19 strumenti: In certi passaggi, il suono percussivo scaturito direttamente dal tocco del tastierista, verrà ribattuto automaticamente a una distanza temporale definita, fondendosi con i suoni successivamente iterati dal tocco dell'esecutore.
All'inizio del brano questa possibilità viene sfruttata per generare dei ritmi complessi, che non sarebbero eseguibili direttamente da un esecutore. Ad ognuno di otto tasti viene abbinata una tabella che ne definisce nove diversi ritmi e durate di ribattuto così che ad ogni volta che viene premuto il tasto, il suono ad esso connesso si ripeterà ad un ritmo diverso. Le tabelle sono peròcomposte in modo che, data la disposizione delle note in partitura, la presenza di suoni sincroni (al ritmo periodico di 100 millisecondi) aumenta gradualmente nella prima parte del brano.
In seguito (pag. 7) viene introdotto un unico schema di ripetizione per tutti i suoni: risuoneranno due volte ciascuno a distanza di 1000 msec. Se all'inizio il tastierista suonava insieme a se stesso, era solo in un senso indiretto in quanto la complessità del risultato gli impediva di intuirlo, e quindi di partecipare "musicalmente". Qui invece si trova a generare con un gesto ritmico semplice e ripetuto un insieme regolare con il quale si deve sincronizzare e che modifica egli stesso con gli accenti. Si tratta di un "tappeto ritmico" tessuto nel modo seguente:
Si forma una cellula ritmica di 12 note (solo quattro vengono suonate direttamente dall'esecutore, le altre risultano dalla funzione di ribattuti a 1000 msec. descritta sopra). Questa cellula viene disposta in un canone ritmico a cinque parti con le entrate distanziate a 1200 ms. Messe insieme, le cinque parti danno una scansione fissa (ritmo complessivo) a 200 msec. Il risultato della sovrapposizione delle cinque parti darà inoltre una densità verticale fissa: cadono insieme soltanto due parti alla volta. La densità fissa toglie al risultato qualsiasi connotazione metrica, non si sentono accenti di densità . Infatti l'esecutore interviene con gli accenti di esecuzione e modifica l'aspetto metrico del tappeto: Suonando sempre in 6/4, all'inizio accentua regolarmente un tempo su tre, e questo, per via dei ribattuti automatici, dà luogo soltanto ad una accentuazione uguale di tutti tempi; in seguito accentuando i tempi secondo la formula [5,3,4,3] avrà un risultato metricamente collocabile in 5/4 (inizio di pag.8), e poi con la formula accentuativa [7,8] otterrà un alternanza di 5/4 e 4/4.
Le cinque voci del tappeto ritmico corrispondono ai dieci suoni percussivi dello spettro iniziale disposti in coppie, le coppie di frequenze che poi formano i glissati (di cui in 1.1). Il tappeto ritmico riappare alla fine del brano in versione negativa: Invertendo le pause e le note della cellula primaria si forma un tappeto ritmico con la densità fissa di 3 voci invece di 2.
2.2 Tornando ai cinque glissati doppi (vedi 1.1), questi vengono collocati all'interno del tappeto ritmico (2.1) in modo che l'inizio e la fine di essi corrispondano con le relative voci all'interno del tappeto. Ne derivano cinque durate diverse, che rimarranno fisse: Ogni glissato avrà sempre la durata (e quindi la rampa) che risulta dall'incrocio con il tappeto ritmico.
Si identificano quindi all'inizio con la struttura ritmica sviluppata con i suoni percussivi, ma successivamente, alla scomparizione del tappeto ritmico, le cinque durate diventano componenti ritmiche autonome sviluppate secondo una logica loro.
È importante notare che in questo modo si stabilisce un rapporto di necessità tra il materiale armonico e quello ritmico: 1) Nel materiale frequenziale sono impliciti i glissati doppi (vedi 1.1). 2) Il tappeto ritmico rappresenta uno stato temporale stabile o neutro del materiale frequenziale. 3) Mettendo in rapporto i glissati con il tappeto ritmico si ottengono le durate fisse, e quindi la rampa dei glissati. Sono quindi obbligati sia l'intervallo tra le due frequenze di ogni glissato, sia la sua direzione e estensione sia la sua durata.
2.3 L'aspetto strutturale a parte, mi sembrava essenziale realizzare una partitura che desse una necessità all'uso della tastiera, e alla presenza di un esecutore musicista il cui ruolo non fosse soltanto quello di far partire dei suoni premendo determinati tasti. Occorreva mettere in gioco anche l'abilità tecnica dello strumentista. Il vincolo costituito dalla natura puntuale del materiale sinora descritto mette infatti alla prova la sensibilità ritmica del tastierista, e il preciso controllo dinamico del suo tocco ha una rilevanza formale in diversi punti della partitura.
Per quanto riguarda le caratteristiche della tastiera, era scontato che, dal momento che non viene mai usata come una tastiera intonata, l'abbinamento dei suoni ai tasti doveva essere svincolato dalla logica della scala cromatica. L'ambito complessivo di quasi tre ottave dei dieci suoni percussivi iniziali poteva così venire collocato all'interno di una decima della scala di re maggiore (scelta per comodità esecutiva), laddove un modo ascendente in esecuzione non implica necessariamente un movimento ascendente dei suoni. Alle pagine 5-7 il tastierista ottiene cosìdegli arpeggi estesi e non-lineari eseguendo semplici frammenti di una scala maggiore (impresa comunque resa difficile dal vincolo di una periodicità automatica interna che lo lega ad un tempo rapidissimo, e dal gioco di accenti che vi si sovrappone).
3. Il terzo quesito era quello di creare un divenire formale chiaro e necessario, e non semplicemente imporre una forma a un qualche materiale elettroacustico. Occorreva estrarre una direzione da un materiale che permettesse tale operazione.
3.1 Come si può intuire da quanto sopra descritto, il materiale usato implica già una forma. I glissati contengono il divenire armonico del brano: il passaggio tra tre stati armonici, che poi vengono articolati ciascuno a suo modo nella rispettiva sezione formale; appartengono quindi sia alla macroforma che alla microforma. Per rendere ancora più chiara questa loro funzione essi appaiono in tre versioni:
1) Glissati interi che rappresentano un primo movimento via dalla griglia fissa iniziale (spettro A) (per poi terminare ciascuno di nuovo all'interno di essa)
2) Glissati che si fermano quando raggiungono le frequenze dello spettro armonico intermedio (spettro B)
3) Parte finale, glissati dalle frequenze dello spettro armonico a quelle d'arrivo (spettro C), che corrispondono a quelle iniziali.
Con questo uso parziale e variegato della figura del glissato spero di ottenere una complessità sufficiente a partire da un elemento semplice, ma anche una forma dal divenire fortemente lineare, e quasi ostinatamente semplice nella sua evoluzione.
3.2 Sarà utile qui dare una breve descrizione del percorso formale:
1) otto delle dieci frequenze dello spettro A vengono introdotte una ad una con suoni percussivi, poco a poco si accumulano in grandi sincronie.
2) Tutte e dieci frequenze vengono esposte in una struttura di arpeggio che fissa in sequenza le frequenze che poi formeranno una coppia fissa, poi gradualmente l'arpeggio si sdoppia e forma il riverbero di se stesso.
3) Viene introdotto il tappeto ritmico: Le frequenze fissate in coppie e ritmo periodico.
4) I glissati sorgono dentro il tappeto ritmico e quest'ultimo a poco a poco si dissolve.
5) I glissati si accumulano fino a formare dei blocchi sincronici con il glissato come coda.
6) Dentro la coda di questi blocchi i glissati cominciano a fermarsi sulle frequenze dello spettro B.
7) I glissati scompaiono e rimane lo spettro B, e qui cominia la seconda parte del brano.
8) Emerge il suono del clarinetto (derivato dallo spettro B)
9) Tutto lo spettro viene intonato da clarinetti (che dà quindi uno spettro di spettri).
10) Viene messa a fuoco la componente rumorosa del suono del clarinetto e esaltato sempre di più il rumore bianco.
11) Lo spettro B si dissolve definitivamente dentro il rumore bianco ma esso evolve in modo da esaltare sempre di più le frequenze acute.
12) Le frequenze acute del rumore bianco si "ricompattano" in una frequenza intonata che collega gli spettri B e C, e comincia la terza parte del brano.
13) Viene esposto un gioco ritmico con le code dei glissati che in pecedenza erano state tagliate via, queste rappresentano il passaggio dallo spettro B allo spettro C.
14) Esauritasi la parte ritmica di ogni glissato si stabilisce su suoni lunghi dello spettro C.
15) Di nuovo il tappeto ritmico, ma più denso verticalmente, e fatto con suoni percussivi filtrati con lo spettro B
16) Coda: Un sottofondo sullo spettro A che era stato presentato frammentariamente nella prima parte. Qualche richiamo dei suoni percussivi della prima parte.
A proposito di semplicità , non ci sarà bisogno di far notare che dal punto di vista armonico la grande forma può essere descritta come una forma tripartita ABA. Altri elementi vengono poi a rafforzare tale definizione, ma sarà altrettanto chiaro a questo punto che questo profilo non è il frutto di una dispositio convenzionale o di comodo in quanto è il materiale stesso a richiederlo.
Qui finisce la relazione su Flecte Lapis e avrei soltanto qualche riflessione da aggiungere sul ruolo del clarinetto in Flecte Lapis II.
Quattro caratteristiche della parte elettronica hanno reso possibile l'inserimento del clarinetto nella costruzione:
1) La sua definizione armonica descrivibile in altezze intonate o quartitonali del clarinetto.
2) La presenza di campioni elaborati da suoni di clarinetto, e dello spettro del clarinetto.
3) La semplicità della forma; lo spazio c'era per riverberare, controbattere, variare o colorare la parte della tastiera.
4) Il carattere strumentale della parte elettronica, che riflette la mia visione del secondo livello di mediazione descritto all'inizio: sonorità , gesti e composizione sono fondamentalmente diversi da ciò che avrei concepito per solo nastro e si avvicinano al mondo degli strumenti vivi.
È tuttavia palese che l'aggiunta dello strumento dal vivo altera radicalmente la percezione dell'insieme. Se lo si metteva in scena non poteva avere un ruolo secondario, doveva anzi lottare per la supremazia e diventare in qualche modo il protagonista, traducendo gli elementi della parte elettronica in gesti più "umani". Tuttavia non poteva comportarsi come un solista tradizionale: la sua parte è inevitabilmente influenzata dal "mondo accanto", tanto che spesso risente dalla volontà di abbandonare qualsiasi discorso e tuffarsi nel suono puro. Per avvicinarlo poi ulteriormente alla parte della tastiera viene talvolta aggiunto all'amplificazione normale un effetto di riverbero a 1000 ms.
Una descrizione più dettagliata del ruolo del clarinettista sarebbe troppo laboriosa per il presente scritto. Basti dire che vi è in atto un continuo scambio di energia tra le due parti: all'inizio il clarinetto viene "caricato" dalla parte elettronica per poi in seguito contrappuntarla, echeggiarla, svuotarsi mentre essa si riempie o viceversa, o semplicemente ricercare l'unione perfetta con essa. Il risultato è una parte vivace, non lineare, forse un po "contaminata" da generi diversi, giocata intorno ad un accompagnamento che appare logico e lineare (più di quanto non appaia quando sentito da solo).
Il lavoro ha beneficiato della generosa assistenza tecnica di Stefano Scarani, Paolo Solcia e Michele Tadini. Devo a Paolo Solcia la versione corretta del titolo, che significa Piega il sasso. L'ultimazione del lavoro mi è stata facilitata dal contributo del fondo compositori della RUV, Radio Nazionale d'Islanda e dal Festival Erkitid a Reykjavik, dove la versione con clarinetto ha avuto la prima esecuzione.